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Channel: Progetto Condor – Pagina 27 – IsAG // Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie
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“Scenari globali per il 2012″ a Milano

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Il prevedibile ritorno di Putin al Cremlino, l’integrazione eurasiatica, la contesa sino-statunitense nel Pacifico, le conseguenze delle rivolte arabe, il peso crescente delle terre rare: questi sono solo alcuni degli argomenti che affrontati durante l’incontro Scenari globali per il 2012.
Organizzato dall’associazione culturale “Millennium” in collaborazione con IsAG e GEOPOLITICA, l’evento si è tenuto alle ore 16.00 di sabato 28 gennaio a Milano, nella cornice confortevole ed informale offerta dal Victory Café di Via Castel Morrone 1/A.
Ad intervenire sui temi proposti e discuterne col pubblico presente erano due rappresentanti dell’IsAG: il segretario scientifico e con-direttore di GEOPOLITICA Daniele Scalea ed il ricercatore associato Enrico Verga.
Il con-direttore Scalea è anche autore di due libri, La sfida totale e Capire le rivolte arabe, mentre il dottor Verga ha pubblicato articoli sulle risorse minerarie strategiche ne Il Sole 24 Ore e in Libero.
Proponiamo di seguito il testo dell’intervento del dott. Scalea.

 

Scenari globali per il 2012: come sta cambiando il mondo

di Daniele Scalea

Non si può parlare di scenari globali per il 2012, senza partire da quanto accaduto nel 2011. Inutile dire che l’anno scorso sarà ricordato come quello delle rivolte arabe. Vi sono due prospettive da cui si può osservarle: una interna ed una esterna.

Dall’interno, è evidente che nel mondo arabo si era giunti ad un punto di rottura causato da squilibri socio-economici, ma anche da tensioni politiche. La tensione fondamentale è quella tra le ideologie, i partiti ed i governi cosiddetti “laici” (un termine che nel mondo islamico non può avere lo stesso significato che da noi) ed i loro corrispondenti religiosi. I laici hanno egemonizzato il panorama arabo, e musulmano in genere, nell’epoca post-coloniale (malgrado significative eccezioni come l’Arabia Saudita wahhabita). Ma non hanno mantenuto le loro promesse: non hanno conseguito l’unità araba, non hanno realizzato il socialismo o comunque il progresso economico, non hanno saputo affrontare Israele. Nel corso dei decenni hanno finito per degenerare in regimi piccolo-nazionali, auto-referenziali e cleptocratici. Sullo sfondo, si è avuta l’ascesa degl’islamisti, già resa evidente alcuni anni fa dalla vittoria elettorale di Hamas in Palestina – o ancora prima dalla Rivoluzione Islamica in Iran, o dalla diffusione delle madrasse wahhabite nel mondo.

Dall’esterno, non si può ignorare l’ingerenza delle grandi potenze, su tutte gli USA. È vero che gli USA erano gli sponsor principali di gran parte dei regimi arabi, ma pure che nel contempo si erano insinuati nelle società civili di quegli stessi paesi, finanziando e manipolando gruppi e movimenti d’opposizione. È lo schema delle “rivoluzioni colorate”, che vede all’opera sedicenti ONG statunitensi – capeggiate dal National Endowment for Democracy – e vere e proprie agenzie federali di Washington, come USAID. Sarebbe semplicistico ridurre le rivolte arabe a rivoluzioni colorate, ma sarebbe ingenuo ignorare anche questa dimensione esogena. Ancor più evidente è il ruolo degli USA e d’alcuni loro alleati nella destabilizzazione di paesi come la Libia e la Siria.

Il ruolo perturbatore di Washington nella regione è un segnale di forza e di debolezza nello stesso tempo. È un segnale di forza perché ha dimostrato di poter ancora incidere sulle dinamiche regionali. È un segnale di forza perché, destabilizzando l’area, si creano infiniti casus belli potenziali per intervenire militarmente, laddove lo riterrà opportuno, sulla scia del modello Libia, col pretesto del R2P (“diritto di proteggere”). È un segnale di debolezza perché Washington si affida in maniera crescente agli alleati subalterni, dalla Francia alla Gran Bretagna alla Turchia: un po’ come fece dopo il Vietnam, nel momento difficile cerca d’appoggiarsi sulle medie potenze come stampelle delle sua egemonia. È un segnale di debolezza perché ha comunque dovuto accettare il cambiamento nella regione, anche a costo di scontentare Arabia Saudita e Israele (seppur solo parzialmente), ed anche a rischio di creare, nel cuore del mondo musulmano, un blocco compatto di paesi controllato dai Fratelli Musulmani (che potrebbe presto estendersi dalla Tunisia alla Giordania, dalla Turchia al Sudan, passando per Libia, Egitto e Siria).

Ma è un segnale di debolezza, soprattutto, perché destabilizza una regione prima di ridurne il peso nella propria equazione strategica. Non c’è la forza di lasciare un “Grande Medio Oriente” stabile e rigidamente filo-atlantico, e perciò si ricorre alla “geopolitica del caos”. Nella fattispecie, si mira a creare uno scontro insanabile tra sunniti e sciiti, ed un reciproco bilanciamento tra Turchia, Iran, Arabia Saudita e fors’anche Egitto (una situazione che metterebbe al sicuro pure Israele).

Il recente riesame strategico annunciato da Obama, infatti, prevede non solo quella che Jalife-Rahme ha definito “deglobalizzazione militare” – per l’appunto, la riduzione delle guarnigioni ed armate USA nel mondo, ma anche la loro rilocalizzazione nella regione Asia-Pacifico. Oltre alla difficoltà di mantenere una presenza militare globale, vi sono due motivazioni dietro questa decisione. La prima è il probabile declinare del peso strategico di Nordafrica e Vicino Oriente nei prossimi decenni. Negli USA si stanno trovando grosse riserve di gas e petrolio di scisto: allo stato attuale sono difficili da sfruttare appieno, ma con una serie di progressi tecnologici potrebbero garantire al paese la piena autosufficienza energetica. Tanto più che pure le riserve d’idrocarburi del vicino e fidato Canada sono costantemente riviste al rialzo: l’Artico potrebbe divenire un nuovo perno geostrategico. La seconda considerazione, ovviamente, è l’ascesa della Cina, che Washington spera di contenere controllando i “choke points” (come lo Stretto di Malacca) da cui giungono i vitali approvvigionamenti per Pechino, ed appoggiandosi all’India ed al Giappone come contrappresi locali alla potenza cinese.

Ma il contenimento della Cina passa anche per l’Africa. Negli ultimi anni Pechino è stata protagonista di una profonda e capillare penetrazione economica nel continente nero, basata su rapporti commerciali, prestiti ed aiuti giudicati più equi rispetto a quelli occidentali. La NATO ha risposto con l’istituzione d’un comando militare ad hoc, AFRICOM, e con una politica aggressiva. L’attacco alla Libia, grande sponsor dell’Unione Africana, va guardato nel contesto del contemporaneo intervento armato francese in Costa d’Avorio, della secessione del Sud Sudan dalla Khartum filo-cinese, e dei bombardamenti dei droni statunitensi in Somalia. Gli atlantici vogliono riprendersi l’Africa con la forza.

Perché la Cina fa così paura? Militarmente è ancora indietro rispetto agli USA, soprattutto in termini di capacità offensiva (o “proiezione di potenza”, come si dice oggi eufemisticamente), ma sta facendo passi da gigante. È riuscita a sviluppare una sua portaerei ed un suo aereo stealth: basi “qualitative” per una successiva espansione “quantitativa”. Ma è soprattutto economicamente che Pechino fa paura a Washington. Tutti sanno che la Cina cresce a ritmi forsennati e pare destinata a superare gli USA; ma l’utilizzo dell’ingannevole PIL nominale porta a credere che questo sia un evento ancora relativamente lontano nel tempo. Non è così. Il PIL a parità di potere d’acquisto della Cina nel 2010 equivaleva al 70% di quello statunitense. Stiamo parlando d’una differenza di poco più di 4000 miliardi di dollari internazionali: nello scorso decennio Pechino ne ha recuperati 2500 circa a Washington. In questo sarà ancora più rapida, perché la crisi morde gli USA più della Cina. Malgrado le fosche previsioni su un drammatico rallentamento della crescita cinese dovuta all’esplodere della bolla immobiliare nel paese, i dati continuano a confermarsi rassicuranti. Secondo l’economista Attilio Folliero, è questione di attendere 5 o 6 anni appena per avere il sorpasso del PIL cinese su quello statunitense.

Un’altra tendenza rafforzata dalla crisi finanziaria del 2008 è la regionalizzazione economica. Gli ultimi mesi hanno visto la nascita dell’Unione Eurasiatica, del CELC e dell’UNASUR, organismi che mirano all’integrazione rispettivamente dell’ex URSS, dell’America Latina e del Sudamerica. Si potrebbe includere l’Unione Africana, ma dopo la morte di Gheddafi è claudicante. E l’Unione Europea, capostipite degli organismi integrati regionali, sembra sul punto d’implodere.

La tendenza alla regionalizzazione è qualcosa che già si sperimentò dopo la grande crisi precedente, quella del 1929; ed anche dopo quella ancora precedente, del 1873. La crisi economica del 1873 inaugurò la cosiddetta “età dell’imperialismo”, in cui le grandi potenze cercavano di crearsi propri imperi coloniali parzialmente chiusi ai commerci ed investimenti altrui. Negli anni ’30 del secolo scorso, la Germania creò un sistema economico chiuso, fondato sul baratto internazionale, in Europa Centro-Orientale; proprio mentre Francia e Gran Bretagna ingrandivano i propri imperi e il Giappone proponeva una “sfera di co-prosperità asiatica”. Oggi, oltre alla nascita di organismi regionali integrati, vediamo molti paesi cominciare a compensare i propri scambi non più attraverso il dollaro, ma le valute nazionali: è il caso di Russia e Cina o Cina e Giappone. Si tratta di un brutto guaio per gli USA, che devono molta della loro potenza a quella che Henry Liu ha definito “l’egemonia del dollaro”. Dopo Bretton Woods, hanno legato la propria moneta al petrolio, riuscendo a mantenerla come valuta di riserva internazionale senza nemmeno avere più la scocciatura della convertibilità aurea. E così hanno potuto, e possono, stampare carta e distribuirla al mondo in cambio di merci reali.

Corsi e ricorsi storici. Non è quella della regionalizzazione economica la sola analogia tra l’oggi ed il post-1929. Oggi come allora, vediamo una crescita del ruolo dello Stato nell’economia. Ma oggi come allora, con diverse modalità e diversi risultati. Alcuni paesi, come la Cina (e per certi versi gli USA) oggi, o la Germania e l’URSS allora, puntano su politiche espansive che, quando non rilanciano l’economia, quanto meno la sorreggono. Altri, come l’Unione Europea, scelgono invece politiche depressive. Lo Stato non interviene per dare spinta e liquidità all’economia: interviene invece per prendere liquidità, tassando i produttori per redistribuire il denaro ai grandi rentier (nella fattispecie, banche e fondi). Nel post-1929 questa politica miope e corporativistica portò alla grande depressione. Che il 2012 sarà un anno di recessione per buona parte dell’UE, ormai è conclamato.

Il 1929, tra l’altro, ci dà un’altra lezione. Ossia che il peggio non arriva subito. Wall Street crollò nell’ottobre 1929, ma la bancarotta della Creditanstalt (l’evento che davvero fece precipitare la situazione) data al 1931. Il crollo di Wall Street è di fine 2008, ma sembra che il peggio stia arrivando solo ora, nel 2012. Forse ci si era illusi sperando che l’odierna Creditanstalt sarebbe stata la Lehman Brothers, con le conseguenze tutto sommato miti sull’economia globale (se la si paragona a quanto accaduto ottant’anni fa).

È proprio vero il detto che chi non conosce la storia, è condannato a ripeterla. Sembra d’assistere ad una riedizione degli eventi post-1929. E vogliamo dirla tutta? Il 1929 sfociò alfine nella Seconda Guerra Mondiale. Consiglio ai nostri dirigenti di studiare la storia, prima che sia troppo tardi per non doverla ripercorrere fino in fondo…


L’esperienza dei paesi BRICS per l’Italia: Tiberio Graziani a “La Voce della Russia”

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Il 22 febbraio 2012 Tiberio Graziani, presidente dell’IsAG e direttore di “Geopolitica”, è stato intervistato da “La Voce della Russia” a proposito della conferenza “BRICS: opportunità economiche per l’Italia nel nuovo contesto multipolare”.

“La Voce della Russia” è l’edizione italiana della radio internazionale della Federazione Russa. La conferenza in questione è stata organizzata dall’IsAG, editore di “Geopolitica”, ed ha avuto luogo a Roma il successivo 24 febbraio.

Di seguito l’audio-video e la trascrizione testuale del servizio curato da Olga Dubickaja e contenente l’intervista al presidente Graziani. Molti altri video sono disponibili sulla nostra pagina YouTube (clicca).

 

Il 24 febbraio a Roma si terra’ una conferenza dedicata ai paesi del gruppo BRICS. La conferenza, alla quale parteciperanno economisti, politologi e rappresentanti delle istituzioni statali del Brasile, Russia, India, Cina e Repubblica Sudafricana, e’ stata promossa dall’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausialiarie. Sentiamo un servizio a cura di Olga Dubitskaja.

La data e il luogo della conferenza non sono casuali: l’Italia potrebbe essere interessata all’esperienza dei paesi che hanno raggiunto un’impressionante dinamica di sviluppo e sono ormai diventati dei nuovi centri geopolitici. Dello scopo dell’iniziativa ci ha parlato il promotore della conferenza Tiberio Graziani, presidente dell’ Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausialiarie e redattore della rivista “Geopolitica”:

“La conferenza sui paesi BRICS ha lo scopo di sensibilizzare il mondo politico, economico e militare italiano in merito alle opportunita’ offerte dai paesi BRICS. Poiche’ questi paesi proprio in questo contesto molto particolare, che attraversa il mondo finanziario ed economico globale, hanno dimostrato un dinamismo eccezionale, per cui le economie di questi paesi offrono delle opportunita’ importanti al livello storico proprio in questo frangente all’Italia e all’Europa intera. Oltre a queste opportunita’ economiche per l’Italia e per l’Europa noi riteniamo che ce ne siano anche altre, in quanto ci troviamo in una fase storica particolare che e’ quella della transizione da un sistema unipolare a guida statunitense a un sistema multipolare. I paesi BRICS per come sono collegati, coordinati, possono rappresentare una valida alternativa al sistema unipolare e costituire i mattoni del nuovo ordinamento multipolare.”

Secondo il dottor Graziani, il mondo sta diventando multipolare e questa evoluzione del sistema portera’ inevitabilmente a una revisione di tutto l’ordinamento internazionale e, forse, del modello della civilta’ umana: all’individualismo occidentale potrebbe subentrare la filosofia collettivistica tipica delle culture orientali:

“E’ vero: il coordinamento tra i paesi BRICS e’ un coordinamento molto recente, pero’ ha introdotto gia’ al livello del diritto internazionale una nuova modalita’ per quanto riguarda la cooperazione. Questi paesi non pongono al centro della loro cooperazione sostanzialmente un modello che potremmo definire indivialista, modello che mira alla regolamentazione mondiale come viene fino ad oggi concepita, vale a dire la “global governance” di scuola anglo-statunitense. I paesi BRICS sembrano introdurre un nuovo modello di cooperazione multipolare di tipo che possiamo definire “solidarista”. Tanto e’ vero che al centro nei vari forum e summit fatti in ambito BRICS viene sempre portato avanti il concetto della non-ingerenza. E questo lo abbiamo visto anche ultimamente quando insieme in un forum i paesi BRICS hanno chiesto, per esempio, una nuova ridefinizione dell’ONU, e sono anche interessati di alcune problematiche legate alle tensioni mondiali. Questo loro interessamento sulle questioni piu’ calde del pianeta, come per esempio il Vicino Oriente, fa ipotizzare l’idea che i paesi BRICS si stanno consolidando come coordinamento e si muovono ovviamente al di fuori di istituzioni come l’ONU, che sono nate dopo la Seconda guerra mondiale, che quindi sono delle istituzioni legate a un sistema bipolare. Ora non siamo piu’ in un sistema bipolare, siamo in un sistema di transizione, e quindi e’ chiaro che i paesi emergenti che hanno un dinamismo economico molto forte cerchino di organizzarsi con nuovi modi.”

Alla conferenza di Roma i rappresentanti delle istituzioni statali dei paesi BRICS e gli esperti italiani discuteranno diversi aspetti della cooperazione economica, politica e militare.

Avete ascoltato il servizio di Olga Dubitskaya.

BRICS e opportunità economiche per l’Italia: la conferenza di Roma

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BRICS. Opportunità economiche per l’Italia nel nuovo contesto multipolare

Conferenza a Roma con i rappresentanti delle cinque ambasciate BRICS

Venerdì 24 febbraio 2012 si è tenuta a Roma, presso la sede dello studio legale NCTM, la conferenza “BRICS: opportunità economiche per l’Italia nel nuovo contesto multipolare”, organizzato da IsAG, NCTM e ISIAMED.
Sono disponibili ai link seguenti:

• Brochure con programma completo dell’evento [leggi]

Esperienza dei paesi BRICS per l’Italia: intervista a Tiberio Graziani da “La Voce della Russia”, 22 febbraio 2012 [leggi];

• Cronaca della conferenza di Francesca Malizia, pubblicata il 29 febbraio 2012 sul sito di Geopolitica [leggi];

BRICS, nuovo ordine economico mondiale e modernizzazione della Russia, testo dell’intervento di Aleksandr Zezjulin pubblicato l’11 aprile 2012 sul sito di Geopolitica [leggi];

Ascesa e modernizzazione militare dei BRICS, testo dell’intervento di Francesco Lombardi pubblicato il 15 aprile 2012 dal sito di Geopolitica [leggi];

Le ambizioni del club dei BRICS: intervista a Tiberio Graziani da “Il Sole 24 Ore”, 19 marzo 2012 [leggi]

“Turchia: un paese tra Oriente e Occidente”. G. Guarini allo Shenker Institute

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Lunedì 27 febbraio 2012 è stata inaugurata presso lo Shenker Culture Club di Piazza di Spagna 66 in Roma la mostra fotografica Turchia: un paese tra Oriente e Occidente, che proseguirà fino al 30 aprile.

L’inaugurazione è avvenuta tramite una lezione tenuta dal filosofo Gianluca Bocchi (Università di Bergamo), con un’intervista a Roberto Menotti del Aspen Institute. Hanno introdotto Barbara Santoro (presidente Shenker; Roberto Panzarani (presidente Studio Panzarani & Associates) e Guido Gambetta (responsabile progetto editoriale sulla Turchia per l’Università di Bologna). E’ intervenuto come ospite speciale anche Giacomo Guarini, ricercatore associato dell’IsAG.

Di seguito l’intervento del nostro ricercatore associato dott. Giacomo Guarini ed alcune foto dell’evento.

 
Buonasera a tutti,

vi ringrazio sentitamente per avermi permesso di essere qui a discutere di un paese di estremo interesse, anche secondo una prospettiva geopolitica, che è quella dalla quale mi è stato chiesto di provare a fornire elementi utili.
Il primo rilievo che possiamo fare può derivare dal dato geografico-culturale espresso nel titolo di quest’incontro: la Turchia è un paese fra Oriente ed Occidente. Di più, è una penisola che è snodo fondamentale per la sua collocazione in rapporto alla massa continentale eurasiatica – guardando quindi ad un ipotetico asse Est-Ovest – ma è anche elemento di raccordo vitale di direttrici Nord-Sud, quali l’incontro fra le opposte sponde del Mediterraneo, nonché di collegamento fra lo stesso Mar Mediterraneo ed il Mar Nero.
La questione sulla quale vorrei dunque soffermarmi in questo breve intervento è: quanto la Turchia è andata mutando il proprio rapporto con questo suo “destino geografico”, il cui elemento maggiormente evidente è – abbiamo visto – la natura di crocevia di una pluralità di assi fondamentali? E in che misura, quindi, il paese può sfruttare le potenzialità e compensare le debolezze derivanti dalla propria collocazione geografica?

Il parterre dei relatori (Giacomo Guarini è il primo da destra)Il tempo non permette una disamina storica dei rapporti che la Repubblica turca ha instaurato sin dalla sua nascita con i propri vicini e con le grandi potenze del globo, tuttavia possiamo rilevare come, fra alti e bassi, la storia della Turchia moderna abbia visto per decenni il paese fondamentalmente legato al blocco occidentale, in una forma che non le permetteva di esprimere a pieno la sua natura di ponte fra diversi mondi ed anche un ruolo consolidato di potenza regionale che diversi fattori – e non da ultimo quello geografico, qui continuamente accennato – avrebbero potuto garantirle. La fine della Guerra Fredda ha sicuramente spinto il paese verso la ricerca di una nuova proiezione nella propria area geografica di riferimento, ma è effettivamente nei primi anni del nuovo secolo che abbiamo visto emergere vistosamente segni di discontinuità forte rispetto ai decenni passati, con quella congiuntura politico-istituzionale che ha portato ad affermarsi alla guida del paese tre figure-chiave:

  • Abdullah Gül: eletto come Primo Ministro per il partito Akp nelle elezioni legislative del 2002, rassegnerà le dimissioni nel 2003 per lasciare il posto al suo compagno di partito Erdoğan. Nel 2007 verrà nominato Presidente della Repubblica Turca;
  • Recep Tayyip Erdoğan: verrà riconfermato come Primo Ministro con larga preferenza anche alle ultime elezioni del 2011;
  • Ahmet Davutoğlu: politologo, diverrà prima consigliere di Erdoğan e poi Ministro degli Esteri nel 2009.

Cosa cambia con l’affermazione di questi uomini politici nelle relazioni del paese e nello sviluppo delle sue potenzialità dal punto di vista della politica estera e collocazione geopolitica?

Evidente è al riguardo l’influenza data dalle idee di Davutoğlu come teorico e professore universitario; idee che hanno trovato più immediata ed organica espressione nell’opera “Profondità strategica”, nonché nel motto ormai più che celebre di “zero problemi con i vicini”. Una nuova visione strategica è dunque emersa negli ultimi anni; una strategia basata sul tentativo di ristabilire buoni rapporti di vicinato che facessero da apripista ad una rinnovata influenza economica, politica e strategica di Ankara sui paesi vicini e su quello spazio in larga parte già di pertinenza ottomana (da cui la ripresa dell’espressione “neo-ottomanesimo”, già utilizzata al tempo della crisi di Cipro). Segnali eloquenti di simili spinte sono stati diversi: il divieto di uso di basi militari sul proprio suolo per la guerra in Iraq, l’impegno diplomatico nel Balcani, i tentativi di distensione con l’Armenia, l’ostilità verso Israele a partire dalla questione palestinese, la ricerca di mediazione sulla questione nucleare iraniana e così via.

I buoni rapporti che Erdoğan stava intessendo con alcuni governi vicini, in particolare quelli di Gheddafi e di Assad, sono stati però sacrificati per assecondare la sconvolgente ondata delle rivolte arabe e per non farsi estromettere, ma anzi inserirsi, fra quelle potenze globali e regionali che su più fronti – dalla copertura mediatica fino all’intervento militare – hanno sostenuto simili fenomeni di ribellione anti-governativa; ciò evidentemente al fine di tener testa ai rivolgimenti regionali, cercando di limitarne gli effetti destabilizzanti potenzialmente gravi e, laddove possibile, trarne finanche vantaggio. La scelta del governo turco di scaricare i governi oggetto di proteste nell’area è stata sicuramente sofferta e meditata (di certo più che non per i principali attori esterni intervenuti a sostegno delle rivolte nel Mediterraneo): segni di tale ‘sofferenza’ sono stati un timido richiamo al rispetto della sovranità durante le proteste in Egitto, il rifiuto di intervento militare nello scenario libico e l’invito ad attuare le riforme in Siria; segni poi ai quali sono seguiti bruschi cambi di posizione concretizzatisi rispettivamente nella richiesta a Mubarak di lasciare il potere, nella partecipazione all’intervento militare in Libia e nell’attivo impegno contro il governo di Assad su più fronti. Una simile strategia sembra aver pagato, almeno in parte e nel breve periodo, dal momento che si è a più riprese parlato in Egitto e Tunisia di “modello turco” (con tutti gli interrogativi che simili prese di posizione, nonché la stessa astratta definizione di “modello turco”, comportano) dopo il fruttuoso viaggio di Erdoğan fra i paesi nordafricani attraversati dalle rivolte, il quale ha costituito anche occasione di una rinnovata spinta nelle relazioni economiche e di cooperazione nell’area.

I recenti fenomeni di destabilizzazione della regione rappresentano ancora oggi fattori di grande incognita nei loro sviluppi, nonostante abbiano sicuramente perso l’appeal mediatico di alcuni mesi fa; quale ruolo possiamo auspicare per la Turchia in questo contesto, a partire da una prospettiva che guardi tanto alla stabilità dell’area, quanto al consolidamento della Turchia stessa come potenza regionale e – non da ultimo – alla tutela e al consolidamento invece degli interessi del nostro paese?

Un momento dell'incontroBisogna anzitutto ribadire che i rivolgimenti in corso non hanno ancora prodotto nuovi assetti pienamente consolidati e che il rischio che emergano piuttosto nuove ed ampie forme di conflittualità è molto elevato, in un’area che era già altamente instabile. Forme di conflittualità etniche, confessionali e sociali potranno infatti seguire a quello sconvolgimento degli assetti di potere che vede un’inevitabile ascesa dell’Islam politico, in particolare – ma non solo – con le diverse espressioni della Fratellanza Musulmana che assumono ruoli molto influenti nella vita politica e civile dei paesi attraversati da regime change realizzati o, per ora, solo tentati. E d’altronde la stessa Fratellanza rappresenta una forza tutt’altro che monolitica, le cui linee politiche direttrici nell’immediato futuro sono ancora ampiamente indecifrabili. A coronare l’imprevedibilità di questi scenari quanto mai incerti vi è la forte presenza di attori regionali o globali (fra le fila del blocco occidentale e delle monarchie del Golfo, come ricordato in nota), il cui attivismo in scenari quali quello siriano o iraniano rischia di condurre a situazioni di crisi incontrollabile non solo nella regione vicinorientale, ma finanche a livello globale. In questo contesto la Turchia potrebbe effettivamente dare un importante contributo alla stabilizzazione, perseguendo in ciò un proprio interesse primario a causa della sua posizione geografica di penisola ‘immersa’ nell’area in questione. A tal fine la Turchia dovrebbe attuare ogni sforzo possibile per scongiurare contrapposizioni nette e per non lasciarvisi coinvolgere; molto vi sarebbe da dire al riguardo, ad esempio, sulla gestione turca della crisi siriana, la quale poteva essere condotta molto meglio, senza così forti ingerenze negli affari interni del paese vicino e assumendo una posizione maggiormente bilanciata rispetto alle istanze delle grandi potenze continentali russa e cinese: per quanto paradossale ciò possa sembrare, un simile atteggiamento avrebbe probabilmente permesso una gestione molto più efficace della crisi, anche se ciò avrebbe sicuramente significato per la Turchia dover tener testa a forti pressioni esterne. E così anche sulla questione iraniana, nella quale i segnali che provengono da Ankara non sono ancora netti, la Turchia dovrebbe impegnarsi nel cercare una mediazione con un vicino così importante dal punto di vista strategico, economico ed energetico, come d’altronde ha già tentato di fare con il tentativo di mediazione sulla questione nucleare iraniana nel 2010, trovando in quell’occasione sponda nel Brasile; un’operazione risultata infine infruttuosa, ma non di certo, a mio parere, a causa dei due soggetti mediatori, né dello stesso Iran.

Negli scenari di crisi menzionati, ed in altri possibili della regione, non gioverebbe alla Turchia costituire l’avamposto armato delle istanze più aggressive del blocco occidentale o anche, in ogni caso, base di destabilizzazione delle realtà ad esso avverse nell’area. E’ invece in virtù del “destino geografico”, ricordato in apertura, che la Turchia dovrebbe cercare di valorizzare la propria funzione di elemento di cerniera ed armonizzazione delle aree di cui è crocevia. Una posizione sicuramente difficile da tenere, in una fase di alta tensione fra blocchi contrapposti come quella attuale, e tuttavia è questa la posizione che probabilmente con più generosità potrebbe ripagare la Turchia e l’intera area, se Ankara consolidasse un atteggiamento di incontro, più che di scontro di civiltà.

Da ultimo, ed in conclusione, vorrei accennare alla situazione del nostro stesso paese nell’area. L’afferenza dell’Italia al blocco occidentale ed euro-atlantico porta spesso a farci dimenticare la nostra realtà geografica di penisola distesa sul Mediterraneo. Possiamo sentirci europei, ma – piaccia o meno – non possiamo dimenticare di essere anche mediterranei, pena la condanna di subire passivamente, come effettivamente è avvenuto e sta avvenendo a causa delle rivolte arabe, i contraccolpi più duri di simili fenomeni di destabilizzazione. Per il nostro paese, proprio il rafforzamento dell’integrazione e della cooperazione con la realtà turca può rappresentare una leva fondamentale, per cominciare a ritagliare crescenti margini di autonomia in quest’area. Essa infatti ne rappresenta il naturale spazio di riferimento secondo una prospettiva geopolitica, anche se purtroppo la zona mediterranea e vicinorientale continuano a costituire oggetto soltanto di iniziative sporadiche ed estemporanee. Non invece di una visione strategica e di ampio respiro, come sarebbe necessario.

Grazie per l’attenzione.

1) Ci si riferisce a paesi del blocco occidentale come a quelli della penisola arabica. Fra i primi, fondamentale è stato l’impegno del paese-guida, gli USA, e di potenze euro-occidentali quali Francia ed Inghilterra; fra i secondi l’Arabia Saudita come soggetto egemone della penisola, ma anche il Qatar e – a ruota – le altre ‘petro-monarchie’.

Le ambizioni del club dei BRICS: il presidente Graziani su “Il Sole 24 Ore”

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Il prestigioso quotidiano economico Il Sole 24 Ore, all’interno della sua edizione di lunedì 19 marzo, ha dedicato un lungo articolo a Le ambizioni del club dei Brics, in vista dell’imminente summit delle cinque nazioni. Al BRICS ed alle opportunità economiche che offre l’Italia l’IsAG e Geopolitica hanno recentemente dedicato un convegno a Roma.

Nell’articolo l’autrice Chiara Bussi raccoglie le opinioni d’alcuni esperti internazionali, tra cui Jim O’Neill (inventore dell’acronimo) e proprio Tiberio Graziani, presidente dell’IsAG e direttore di Geopolitica. Ecco l’estratto con le dichiarazione di Graziani:

In parallelo con la loro metamorfosi economica prosegue, lenta ma inarrestabile, la trasformazione in un nuovo soggetto politico. La svolta è scattata nel 2006 a margine dell’Assemblea generale dell’Onu. Poi è arrivato il primo summit, organizzato dalla Russia nel luglio 2009. Il terzo vertice in Cina nel 2011 ha segnato un’ulteriore evoluzione, quando il club si è allargato al Sudafrica ed è diventato Brics. «I cinque – spiega Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di Alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie (Isag) – hanno preso posizione sui temi della sicurezza internazionale, come il terrorismo e l’andamento del conflitto in Libia, hanno votato per il riconoscimento della Palestina in ambito Unesco e richiesto la riforma del Consiglio di sicurezza dell’Onu». Dal prossimo anno i Brics peseranno di più anche nel Fondo monetario internazionale: in virtù della riforma delle quote Cina, Brasile, India e Russia figureranno fra i dieci principali azionisti.

Nel frattempo il loro potere si rafforza anche in ambito del G20, dove tengono riunioni prima dell’avvio ufficiale dei lavori. Come quello di Cannes dello scorso novembre, quando i Brics (che detengono nei loro forzieri più di un terzo delle riserve mondiali in valuta estera) si sono detti disponibili a mettere mano al portafogli per aumentare la dote del Fmi per arginare la crisi del debito nell’Eurozona. Ma a patto che a fare il primo passo siano i Paesi europei, finora ben lontani da un accordo.
Accanto alla spinta di rinnovamento nelle organizzazioni mondiali, nate quando il sistema era bipolare, i “big five” – fa notare Graziani – «stanno creando altri tavoli paralleli, mattoni per un nuovo sistema multipolare». Ne è un esempio il dibattito sulla nuova Banca dei Brics, sollecitato dall’India a margine dell’ultimo summit del G20 a Città del Messico. Un istituto multilaterale finanziato interamente dai Paesi in via di sviluppo per progetti a loro destinati.

La versione integrale dell’articolo può essere letta cliccando qui (HTML) o qui (PDF).

Vent’anni di Russia

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Nel dicembre 1991 gli Accordi di Belaveža e i Protocolli di Alma Ata sancivano lo scioglimento dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Il giorno 12, con la ratifica da parte del Consiglio Supremo, nasceva ufficialmente la Federazione Russa indipendente. A distanza di vent’anni da quegli eventi cruciali non solo per i destini d’una nazione, ma per il mondo intero ed i suoi equilibri geopolitici, “Geopolitica” ha scelto di dedicare il suo primissimo numero all’analisi di quelli che sono stati i primi tormentati due decenni di vita della Federazione Russa, quale lo stato attuale e quali le prospettive per il futuro. Proprio mentre Vladimir Putin si riappresta a reinsediarsi al Cremlino.

SOMMARIO – Editoriale: La Federazione Russa alla prova del multipolarismo: Tiberio Graziani | Focus: Vent’anni di Russia | Vent’anni senza l’URSS: risultati geopolitici, bellici e strategici per la Russia: Vagif A. Gusejnov | La cooperazione tra la Russia e l’Unione Europea: Aleksandr V. Gruško | Il nuovo ordine mondiale ed il rapporto russo-europeo: Natalija A. Narochnickaja | Intervista a Sergio Romano: Giacomo Guarini | Investimenti destinazione Russia: Eleonora Ambrosi | La Russia e l’integrazione post-sovietica: dalla CSI all’Unione Eurasiatica: Mahdi Darius Nazemroaya e Nailya Okda | Il ventennio post-URSS del Caucaso: la Russia in bilico: Marilisa Lorusso | Il divorzio tra Russia e Ucraina: Vladimir A. Dergachëv | 1991-2011: vent’anni di strategie in Asia Centrale: Marco Ferrentino | Russia e Asia Centrale a vent’anni dalla fine dell’URSS: Fabrizio Vielmini | Stanno nascendo delle shatterbelts nel cuore dell’Eurasia?: Phil Kelly | Intervista a S.E. Almaz N. Khamzayev: Luca Bionda e Konstantin Zavinovskij | Kazakistan: opportunità d’investimento per le imprese italiane: Luca Bionda | La direttrice “Pacifico” nella politica statunitense e la Russia: Armen G. Oganesjan | L’unione fa la forza: Russia e Cina assieme per costruire un mondo multipolare: Konstantin Zavinovskij | Un piede sul Mediterraneo. Le relazioni privilegiate di Russia e Siria nel passaggio dal bipolarismo al multipolarismo globale: Giovanni Andriolo | Le relazioni tra Federazione Russa e Asia Meridionale: Francesco Brunello Zanitti | Declino demografico russo: la soluzione è nella crescita: Alexandre Latsa | L’impatto delle politiche neoliberiste in Russia dopo il crollo dell’URSS: Eliseo Bertolasi | Putin: atto terzo: Stefano Grazioli | L’Orso russo sulla Scacchiera di Brzezinski: Alfredo Musto | La Russia secondo il “modello delle civiltà”: Paese in bilico o civiltà originale?: Alessio Stilo | Orizzonti: La crisi strutturale nordamericana ed il nuovo sistema multicentrico: Marcelo Gullo | Afghanistan: i dubbi del dopo Bonn 2011: Michail A. Konarovskij | La “fine della storia” o un rinnovato paradigma di sviluppo?: Pavel Provincev

Geopolitica, vol. I, n°. 1 .: Vent’anni di Russia
Prezzo: 22,00€

Editore: Editore: Avatar Éditions & IsAG
Data di Pubblicazione: Primavera 2012
Pagine: 276

Dimensioni (cm): 15,6 x 23,4
ISBN/EAN: 9781907847097

Articoli di T. Graziani e D. Scalea in “Contexto Mundial” di marzo

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Articoli del presidente Tiberio Graziani e del segretario scientifico Daniele Scalea sono apparsi nell’ultimo numero di Contexto Mundial, l’inserto mensile dedicato alla politica internazionale del quotidiano argentino Primera Edicion di Misiones.

L’ultimo numero, pubblicato il 25 marzo 2012 col titolo Hipótesis de Conflicto, è aperto dall’articolo di Tiberio Graziani La Federación Rusa en la prueba del multipolarismo, seguito da quello di Daniele Scalea intolato Escenarios globales para 2012: cómo está cambiando el mundo.

L’articolo di T. Graziani è un’anteprima in lingua spagnola dell’editoriale del primo numero (attualmente in corso di stampa) di Geopolitica, la rivista dell’IsAG. Il contributo di D. Scalea è già apparso in lingua italiana sul sito di Geopolitica.

Contexto Mundial, diretto da Guillerme Baez, ha un Consiglio Accademico composto da sette membri, tra i quali proprio T. Graziani e D. Scalea, Oltre ad essi il Consiglio annovera anche Carlos Pereyra Mele, Miguel Angel Barrios e Luiz Alberto Moniz Bandeira, membri anche del Comitato Scientifico di Geopolitica, rivista dell’IsAG.

 
L’ultimo numero di “Contexto Mundial” in formato pdf può essere scaricato cliccando qui.

Siria e media italiani: Tiberio Graziani su “RT”

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Tiberio Graziani, presidente dell’IsAG e direttore di Geopolitica, è stato interpellato dal canale televisivo transnazionale RT in lingua spagnola a proposito dell’atteggiamento dei media italiani verso la crisi siriana.

Il presidente Graziani ha spiegato come, al di là delle versioni edulcorate e propagandistiche, la crisi siriana, al pari d’ogni altro conflitto, sia sempre un conflitto fondato su interessi tangibili. In questo caso si tratta di cercare di rimpiazzare in Siria un governo filo-iraniano con uno più vicino alle petromonarchie del Golfo ed alla NATO. Cina e Russia, che mirano ad un mondo multipolare e dunque equilibrato, cercano d’opporsi ad un evento che rafforzerebbe Washington nella regione.

La fonte originale è raggiungibile cliccando qui. Di seguito il video integrale del servizio di RT:



«All’Europa serve più politica». Tiberio Graziani intervistato dal “Sole 24 Ore”

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Il 16 aprile Il Sole 24 Ore ha dedicato ampio spazio alla minaccia del presidente francese Nicolas Sarkozy di sospendere gli accordi di Schengen, proprio mentre si discutere d’allargarli anche a Bulgaria e Romania. La giornalista Chiara Bussi ha interpellato a proposito Tiberio Graziani, direttore di Geopolitica e presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG). L’intervista compare a p. 10 dell’edizione odierna.

Il direttore Graziani ha ammonito che «un’Europa fortezza, chiusa in se stessa e isolata dal resto mondo, non ha futuro», e che senza «una vera unione politica un’area di libera circolazione resterà di fatto sempre incompiuta ed in balìa delle derive nazionaliste». Ciò non toglie che l’area Schengen sia «una conquista immensa, perché ha fatto da volano alla creazione di un vero mercato unico», avvantaggiando più di tutti proprio Francia e Germania. Certo in un momento di crisi riaffiorano «le tentazioni alla chiusura», ma quella di Sarkozy è giudicata da Graziani una semplice sparata elettorale per conquistarsi i voti dell’estrema destra.

Quello dell’allargamento a est, secondo il Direttore di Geopolitica, è solo uno «pseudo-problema»: la priorità per l’Europa sarebbe «riflettere sul ruolo che intende giocare nello scacchiere internazionale». A suo giudizio «non basta abbattere le frontiere, ma occorre fare di più per accrescere la sicurezza interna». Il pacchetto di proposte della Commissione UE, a giudizio del direttore Graziani, non è un passo nella giusta direzione: mentre all’Europa serve «una gestione politica», esso punta verso «una nuova burocratizzazione».

L’intervista integrale può essere letta cliccando qui.

La Russia, l’Italia e il Mediterraneo in epoca di crisi: T. Graziani al Forum Italo-Russo alla Sapienza

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Giovedì 26 aprile 2012, presso la Sala del Senato Accademico nel Palazzo del Rettorato dell’Università “Sapienza” di Roma, ha avuto luogo il Forum italo-russo Due sistemi a confronto per comuni strategie di progresso. L’iniziativa è stata promossa e sostenuta dal Centro di Studi Russi, sezione romana della fondazione Russkiy Mir di Mosca sotto la direzione della dott.ssa Natalia Fefelova, in collaborazione con il primo Ateneo romano e con l’Istituto EURISPES. A margine del seminario è stato siglato un accordo di cooperazione tra l’Istituto per l’Europa dell’Accademia delle Scienze della Federazione Russa e il CEMAS (Centro per la cooperazione con l’Eurasia, il Mediterraneo e l’Africa Subsahariana dell’Università “Sapienza”), diretto dal prof. Antonello Biagini, prorettore per la Cooperazione e i Rapporti Internazionali, che ha aperto i lavori del Forum. La stipula di tale accordo costituisce senz’altro un indicatore concreto della trasversalità con cui viene oggi recepita – nei circuiti accademici, imprenditoriali e diplomatici di entrambi i Paesi – la necessità di un potenziamento costante dell’interscambio bilaterale.

Un momento dei lavori del Forum

In rappresentanza della Federazione Russa è intervenuta una delegazione dell’Istituto per l’Europa: il direttore Nikolay Shmelëv, economista di fama internazionale e direttore della rivista Sovremennaja Evropa, organo ufficiale dell’Istituto; il vice-direttore Alexey Gromyko, rappresentante della Federazione al Consiglio NATO-Russia; Valentin e Sergey Fëdorov, specialisti russi rispettivamente della Germania e della Francia; Marina Kargalova, Consigliere Esperto per i problemi sociali per la Duma della Federazione Russa. Tra i relatori italiani figuravano (in rappresentanza dell’EURISPES) il presidente Gian Maria Fara ed il segretario generale Marco Ricceri; il direttore dell’Istituto per gli Affari Internazionali Ettore Greco; il prof. Giuseppe Sacco dell’Università di Roma Tre; il direttore del Centro per gli Studi Strategici Internazionali dell’Università di Firenze Umberto Gori. In qualità di presidente dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) è intervenuto il dott. Tiberio Graziani, direttore di Geopolitica, proponendo un’analisi delle potenzialità del rapporto fra Italia e Russia nel più ampio quadro di consolidamento del gruppo BRICS durante la fase attuale che, secondo la sua stessa definizione, può essere descritta come “la transizione uni-multipolare”.

Un momento del Forum

Tale prospettiva, che costituisce d’altronde l’approccio interpretativo del primo numero della rivista Geopoliticanumero monografico dedicato alla Federazione Russa – rappresenta idealmente l’anello di congiunzione fra i temi delle tre sessioni in cui sono stati divisi i lavori: “Russia e Italia, società in cambiamento”, “Politiche per l’Europa e il Mediterraneo” e “Processi di modernizzazione e prospettive di crescita”. A fronte della sottolineatura di singoli elementi d’analisi, emersi di volta in volta negli interventi di ciascun relatore, nel suo insieme la discussione ha manifestato infatti la condivisione di alcuni punti di fondo. Sia da parte russa che italiana ci si è soffermati ad esempio sulla critica verso quella che ormai è d’uso rappresentare come la deriva “tecnocratica” delle istituzioni europee, in risposta alla quale appare sempre più urgente la ricerca di fondamenti etico-politici comuni e di incentivi concreti per rilanciare l’economia reale. L’intensificazione dei legami con un partner importante quale la Federazione Russa rappresenta in questo senso un auspicio comune.

In primo piano Dario Citati, ricercatore IsAG. Alla sua sinistra, di spalle, il presidente Graziani

Relativamente alle relazioni russo-italiane, è ormai noto che la cooperazione commerciale ha costituito sinora uno dei vettori di comunicazione privilegiati fra i due Paesi, talora supplendo ad un’intesa politica senz’altro più discontinua. Il rafforzamento ulteriore di questo tipo di legame, attraverso un sostegno sistematico agli investimenti reciproci, diviene pertanto un moltiplicatore di opportunità per il futuro prossimo anche per reagire alla crisi economica. Allo stesso tempo, le prospettive di partenariato tra Federazione Russa e Repubblica Italiana assumono un profilo ancora più strategico se lette in una chiave propriamente geopolitica. Nella misura in cui si riconosca la dovuta rilevanza agli spazi regionali che formano la massa continentale euro-afroasiatica, appare assolutamente pertinente conferire alla penisola italiana la funzione di perno nel Mar Mediterraneo. In virtù della sua collocazione geografica, l’Italia ha la possibilità non solo di fungere da spazio di mediazione fra i Paesi rivieraschi – raccordo longitudinale fra Nord Africa ed Europa – ma anche di rappresentare la sponda di un asse di collegamento orizzontale. La capacità di scongiurare le minacce di balcanizzazione del cosiddetto “Mediterraneo allargato” – ovvero la cerniera terracquea che attraverso il Mar Nero, la penisola anatolica ed il Mar Caspio estende l’area mediterranea sino all’Asia Centrale – è in quest’ottica l’imperativo geopolitico cui la Russia e l’Italia devono adempiere sia per dare alle relazioni bilaterali una prospettiva di lungo periodo, sia soprattutto per contribuire alla stabilizzazione dell’intera regione. D’altra parte, il crescente interesse da parte russa verso i destini del nostro Paese, anche in ragione della sua posizione strategica, è testimoniato dalla pubblicazione recente di un volume collettaneo dal titolo alquanto significativo: Na perekrëstke Sredizemnomor’ja: “Italj’anskij sapog” pered vyzovami XXI veka, pod. red. T. V. Zonovoj, Moskva 2011 (Al bivio del Mediterraneo: lo “Stivale” davanti alle sfide del XXI secolo). Presentato nel corso dei lavori del Forum, il volume raccoglie sedici contributi di autori russi e due di autori italiani (G. M. Melchionni e M. Ricceri), spaziando dalle questioni di politica interna al ruolo del Vaticano, dal commercio con la Russia all’evoluzione della diplomazia italiana, dalle ripercussioni della crisi economica all’immagine dell’Italia in Russia.

Come investire in Brasile: modi e opportunità

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Investire in Brasile: modi e opportunità

Conferenza con l’incaricato d’affari dell’Ambasciata brasiliana

 
Scarica la presentazione in pdf

 
L’economia del Brasile è la sesta più grande al mondo per PIL, e molti prevedono che quest’anno scalerà una nuova posizione. Tra le grandi economie è infatti una di quelle che crescono più rapidamente. Il Brasile è il più grande paese latinoamericano per dimensioni sia geografiche sia economiche, e non a caso è oggi il perno dei progetti d’integrazione regionale che hanno visto una recente accelerazione, con la nascita dell’UNASUR e della CELC. Come partner commerciale, l’Unione Europea si situa seconda a poca distanza dal complesso dei paesi latinoamericani.

IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) e Studio Legale Associato NCTM, in collaborazione con l’Ambasciata della Repubblica Federativa di Brasile, dopo il successo della conferenza sul BRICS del 24 febbraio precedente hanno organizzato un nuovo evento, per offrire un’occasione d’incontro e discussione tra operatori economici italiani, esperti d’internazionalizzazione e rappresentanti diplomatici del Brasile.

La conferenza si è svolta martedì 8 maggio 2012 a Roma, dalle ore 14.30, presso la sede di NCTM in Via delle Quattro Fontane 161. Il programma in pdf può essere scaricato cliccando qui.

La galleria fotografica dell’evento è disponibile nella pagina Facebook dell’IsAG [clicca].
La cronaca dell’evento, redatta da Simona Bottoni, si può leggere nel sito di Geopolitica [clicca].

Presentazione del primo numero di “Geopolitica” a Soresina

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Martedì 22 maggio 2012, alle ore 21.00, presso Edicolè di Via IV Novembre 19 a Soresina (CR), è stato presentato il primo numero di Geopolitica, la rivista dell’IsAG, dal titolo Vent’anni di Russia.

E’ intervenuto Eliseo Bertolasi, antropologo (Università Bicocca di Milano) e ricercatore associato dell’IsAG, autore di un contributo al numero dal titolo L’impatto delle politiche neoliberiste in Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica.

Per scaricare la locandina in formato PDF cliccare qui.

“Russia ed Europa: le prospettive di un dialogo”: tavola rotonda alla Commissione Europea in Italia

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Giovedì 24 maggio, alle ore 10.30, si è tenuta la tavola rotonda “Russia ed Europa: le prospettive di un dialogo” presso la sede della Rappresentanza in Italia della Commissione Europea (Via IV Novembre 149 Roma). L’evento è inserito nel quadro del Dottorato di ricerca in Storia d’Europa dell’Università La Sapienza e organizzato dal Centro Studi Russi dell’Università la Sapienza di Roma, la Fondazione Russkij Mir in collaborazione con l’EURISPES, l’Institut de la Démocratie et de la Coopération (IDC) di Parigi e l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG).

Sono disponibili:

• Resoconto della conferenza pubblicato nel sito di Geopolitica il 27 maggio 2012 [vedi];

• Album fotografico dell’evento pubblicato sulla pagina Facebook dell’IsAG [vedi]);

Solo un’Europa sovrana può dialogare con la Russia, testo dell’intervento di John Laughland, pubblicato nel sito di Geopolitica il 2 giugno 2012 [vedi];

Breve nota sul dialogo euro-russo nel contesto della transizione geopolitica unimultipolare, testo dell’intervento di Tiberio Graziani, pubblicato nel sito di Geopolitica il 28 maggio 2012 [vedi].

“Vent’anni di Russia” al Centro Russo di Scienze e Cultura con N. e E. Narochnickaja

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Nella maestosa cornice barocca di Palazzo Santacroce a Roma, sede del Centro Russo di Scienze e Cultura, lo scorso 24 maggio si è tenuta una conferenza per presentare Vent’anni di Russia, il primo numero di Geopolitica, la rivista dell’IsAG. L’evento è stato organizzato dall’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) in collaborazione con il Centro Russo di Scienze e Cultura (rappresentanza in Italia di Rossotrudničestvo, agenzia del Governo federale di Mosca), ed ha rappresentato una preziosa occasione per discutere dell’importante anniversario, esaminando gli scenari attuali e quelli che si prospettano per il futuro delle relazioni tra la Russia e l’Europa, e nello specifico tra Mosca e Roma.

Sono disponibili:

• Resoconto della conferenza, di Serena Bonato, pubblicato nel sito di Geopolitica il 30 maggio 2012 [vedi];

• Album fotografico della conferenza, pubblicato nella pagina Facebook dell’IsAG [vedi].

Presentazione del primo numero di “Geopolitica” all’Associazione Italia-Russia di Bergamo

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Lunedì 28 maggio la sezione di Bergamo dell’Associazione culturale Italia-Russia ha presentato il primo numero di Geopolitica, intitolato Vent’anni di Russia. Ha partecipato in rappresentanza dell’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) Eliseo Bertolasi, autore di un contributo, contenuto nella monografia, intitolato L’impatto delle politiche neoliberiste in Russia dopo il crollo dell’URSS.

L’incontro si è svolto alle 18.30 presso il Centro “La Porta” di Viale Papa Giovanni XXIII 30 a Bergamo. Oltre alla presentazione di Vent’anni di Russia da parte del dott. Bertolasi, ricercatore associato dell’IsAG, vi è stato anche l’intervento di Aldo Ferrari, docente all’Università Ca’ Foscari di Venezia, responsabile di programmi di ricerca presso l’ISPI e vice-presidente dell’Associazione per lo Studio in Italia dell’Asia Centrale e del Caucaso (ASIAC). Il professor Ferrari ha presentato infatti il suo nuovo libro La foresta e la steppa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa.

La presentazione completa (in formato pdf) dell’evento può essere letta cliccando qui. Di seguito la cronaca dell’evento.

 
La sera del 28 maggio a Bergamo, presso il centro “La Porta”, grazie ad un’iniziativa dell’Associazione Italia – Russia (sezione di Bergamo) con la collaborazione dell’Associazione culturale “Alle radici della comunità” è stata promossa una conferenza interamente dedicata alla Russia.

I relatori della serata: il professor Aldo Ferrari, docente di Lingua e Letteratura Armena e Storia del Caucaso presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia, responsabile dei Programmi di Ricerca “Russia/Vicini Orientali” e “Caucaso/Asia Centrale” presso l’ISPI di Milano, vicepresidente dell’Associazione per lo Studio in Italia dell’Asia centrale e del Caucaso (ASIAC); e il dottor Eliseo Bertolasi, dottorando di ricerca in Antropologia della contemporaneità all’Università di Milano Bicocca, dove si occupa della “Questione identitaria dei popoli slavi”, ricercatore associato all’IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie). I relatori sono stati introdotti dal dottor Stefano Citterio, vice-segretario della sezione di Bergamo dell’Associazione Italia-Russia.

Eliseo Bertolasi ha iniziato la sua relazione presentando il primo numero della rivista Geopolitica, monografia interamente dedicata ai Vent’anni di Russia. Il 26 dicembre 1991 veniva ammainata la bandiera sovietica dal Cremlino, fatto che decretò la fine, dell’Unione Sovietica. Nasceva ufficialmente la Federazione Russa indipendente. A distanza di vent’anni da quegli eventi cruciali non solo per i destini d’una nazione, ma per il mondo intero ed i suoi equilibri geopolitici, Geopolitica ha scelto di dedicare il suo primo numero all’analisi di quelli che sono stati i primi tormentati due decenni di vita della Federazione Russa: quale lo stato attuale e quali le prospettive per il futuro? Proprio mentre Vladimir Putin si è di nuovo reinsediato al Cremlino.

Nello specifico Eliseo Bertolasi, facendo riferimento ai primi turbolenti anni della Federazione Russa, ha trattato il tema: “L’impatto delle politiche neoliberiste in Russia dopo il crollo dell’Unione Sovietica” (titolo dell’articolo dello stesso Bertolasi contenuto nel numero di Geopolitica). Cosa causò nell’immediato, in Russia, il crollo dell’Unione Sovietica? Cosa accadde realmente al popolo russo in quegli anni all’impatto con le politiche neoliberiste? Quali, nel Paese, le conseguenze di tale cambiamento? Fame, povertà, disperazione e soprattutto delusione non solo in Russia ma anche nella maggior parte dei Paesi dell’ex-Unione Sovietica.

Secondo uno studio condotto dall’Università di Oxford, intitolato: Mass privatisation and the post-communist mortality crisis: a cross-national analysis (31/01/2009), pubblicato su una delle più autorevoli riviste mediche internazionali, “The Lancet”, è stato dimostrato che a causa delle politiche di privatizzazione di massa condotte nella ex-Unione Sovietica dopo la caduta del comunismo, morirono circa un milione di persone. La tremenda cifra è la trasposizione di quel 12,8 % di aumento della mortalità che lo studio su Lancet ci mostra essere direttamente legato, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, all’aumento della disoccupazione e alle dure condizioni di vita dovute all’applicazione ortodossa delle politiche neoliberiste.

Oltre che ad una approfondita analisi di tale cambiamento, sia nella sua scansione storica che nella cornice di autorevoli teorie dell’antropologia medica ed economica, Eliseo Bertolasi non ha potuto far a meno di raccontare, come testimonianza diretta di tali eventi, alcuni suoi toccanti ricordi dai soggiorni nella Russia di quegli anni.

In continuità “fisiologica” col precedente intervento, ha preso la parola Aldo Ferrari che trattando il tema “Putin e l’opzione eurasista” ha presentando la nuova edizione del suo volume La foresta e la steppa. Il mito dell’Eurasia nella cultura russa.

Il volume, estremamente curato nell’indagine storico-culturologica e nella ricerca bibliografica, indaga sulla definizione dell’identità russa sviscerando la sua innegabile componente orientale. Le complesse e variegate relazioni, storiche e ideali, del mondo politico e culturale russo con un Oriente “prossimo e consonante” si dipanano in modo articolato in questa attenta e suggestiva esplorazione del tema in senso diacronico e multidisciplinare, evidenziando in vari ambiti (filosofia, letteratura, arte, politica) alcuni momenti di effettiva interazione e altri, invece, di più sfocata compenetrazione. Nella multiforme esperienza culturale russa la componente asiatica del vasto Impero Russo ne consolida la sua dimensione “bicontinentale” e “multiculturale”. L’ampio spazio dedicato in questo studio all’eurasismo parte innanzi tutto da un’accurata esposizione delle teorie degli anni Venti e Trenta (Trubeckoj, Vernadskij, Savickij, Jakobson, Alekseev), momento fondante ma concettualmente non definitivo dell’elaborazione ideologica del movimento, che continua con i successivi studi sulle popolazioni nomadi di Gumilev, ideale trait d’union tra l’eurasismo classico e quello contemporaneo. La ripresa di interesse per questa teoria in epoca post-sovietica nasce dalla rinnovata ricerca di una identità russa che proprio nella sua variante neo-eurasista si propone come alternativa sia a quella filo-occidentalista sia a quella etno-nazionalista. Alla fine del volume viene condotta una disamina della ricezione della ideologia eurasista in correnti politiche contemporanee (estrema destra e nazional-comunismo), giungendo a più ampie considerazioni su un possibile fecondo nuovo orizzonte identitario neo-eurasista quale modello geopolitico adeguato alla Russia del XXI secolo (“Russia, URSS, Eurasia”), nell’ambito di una visione mondiale multipolare.


«Contro la Russia una guerra dell’informazione» – Tiberio Graziani a “La Voce della Russia”

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Alcuni giorni fa Tiberio Graziani, presidente dell’IsAG e direttore di “Geopolitica”, è stato intervistato dall’emittente radiofonica “La Voce della Russia” a proposito dei recenti disordini di Mosca che hanno portato al fermo d’alcuni capi dell’opposizione russa. La fonte originale (con audio) è raggiungibile cliccando qui.

 
Siete sempre sintonizzati sulle onde de La Voce della Russia. Sulla scia delle proteste dell’opposizione a Mosca (in cui ricordiamo i leader dei manifestanti Navalnyj e Udalzov, per resistenza a pubblico ufficiale, hanno scontato 15 giorni di arresto amministrativo) la nostra radio ha intervistato alcuni esperti sulle norme in vigore in Europa e la loro efficienza, sulle multe e sulle pene per chi occupa il suolo pubblico o oppone resistenza alle forze dell’ordine. Ascoltiamo Tiberio Graziani, direttore della rivista Geopolitica e presidente dell’Istituto di alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie:

Questo è un grande problema, perché investe diversi aspetti della vita sociale italiana. Ad esempio, alcune norme per l’ordine pubblico, in particolare negli stadi, quindi quando ci sono manifestazioni negli stadi e le partite di pallone. Si è tentato, negli ultimi anni, di porre leggi abbastanza rigide per non far entrare gli ultrà negli stadi anche con pene detentive e con multe. Questo è un tema molto dibattuto in Italia, per quanto riguarda le manifestazioni sportive.
Poi vi sono in un senso più largo delle leggi relative all’ordine pubblico, per le manifestazioni di tipo politico. Ci sono vari permessi da chiedere, vanno comunicati alla prefettura, per l’occupazione di spazio pubblico. Se ne assume la responsabilità chi fa la richiesta.
Per questo riguarda se le leggi sono severe o meno, questo è un aspetto che rientra nei casi specifici, è quindi molto relativo. Ad esempio, ci sono state delle violente manifestazioni anni fa a Genova, durante il G8. In quel caso la polizia ha avuto la mano un po’ forte, per cui vi sono stati dei processi anche contro alcuni agenti della polizia. Ovviamente, in quel caso c’è stata una grande difficoltà da parte del Ministero degli Interni di attivare misure preventive. Anche il sistema giuridico probabilmente non ha molto aiutato.
Molto probabilmente, la questione delle manifestazioni di massa è un problema di tutte le società moderne democratiche. Il fatto di tentare di arginarle con le leggi è chiaramente un aspetto, un’azione che si può perseguire.
Però non è soltanto questo. Forse, quello che dovrebbe aiutare, dovrebbe essere proprio la decisione politica: quindi, il ceto politico se ne dovrebbe far carico.

Passiamo alle multe. Secondo Lei, è un meccanismo efficiente per prevenire i disordini, gli scontri, le violenze. Cioé si può pagare per la libertà di parola?

E’ un argomento interessante, per come ha posto chiaramente la domanda. Le multe disincentivano, questo è evidente. Perché se le leggi non vengono osservate, è evidente che quando si va a toccare la tasca del cittadino, il cittadino spesso ci pensa due volte. Però è anche vero quanto Lei stava dicendo: naturalmente, la libertà non si può pagare, la libertà non ha prezzo.
Ci sono degli spazi che devono essere salvaguardati dalle manifestazioni, che sono degli spazi a mio avviso simbolici, simboli della sovranità del paese. Non sono luoghi di manifestazione, perché lì si va ad attentare, a mio avviso, alla sovranità della nazione.
Quanto al fatto di pagare la libertà, non è una cosa che a me piace molto, però è una prassi che viene utilizzata in diversi Stati, basti pensare al sistema di cauzione degli Stati Uniti, per esempio.

Allora le norme esistenti in Italia sono sufficienti o vanno perfezionate?

Le norme sono tutte perfettibili. Le norme nascono sempre in momenti storici particolari, poi l’evoluzione della società chiaramente determina il fatto che alcune leggi diventano obsolete e non sono più così efficaci. Questo accade anche in Italia, le leggi, molto probabilmente, non sono tutte così efficaci.
Ma tutto è demandato al giudice che dovrà amministrare la giustizia e far eseguire le disposizioni di legge.

Con l’immagine che è stata data alle ultime manifestazioni alla vigilia dell’insediamento di Putin, la Russia sarebbe un paese democratico o meno?

L’immagine che è stata data in Italia e da tutti media cosiddetti occidentali, è un immagine volta a demolire l’immagine del nuovo presidente, di Putin. E’ una manipolazione dell’informazione a mio avviso, eterodiretta, che tenta di allontanare i normali rapporti che ci dovrebbero essere tra una nazione e un nuovo presidente di un’altra nazione, con cui collaboriamo e siamo partner in alcuni casi anche strategici.
In questo caso credo che questa cattiva immagine che i giornali italiani hanno riportato, si inserisce proprio in una sorte di guerra di propaganda che il sistema occidentale a guida statunitense, ormai da dodici anni, ha mosso e persegue contro la Russia di Putin.
Oserei dire che la nuova Russia, negli ultimi 12 anni, è stata in grado di rialzare la testa e riorganizzarsi internamente e diventare nuovamente un attore globale. E questo è molto importante a mio avviso, per l’intero pianeta, perché basta considerare la mappa geografica e quell’estensione geografica della Russia e il suo ruolo nella massa geopolitica euroasiatica. Una Russia serena, forte e organizzata rappresenta un elemento equilibrante, una Russia che fa bene all’intero sistema internazionale.

Avete ascoltato l’intervista esclusiva che il dottor Tiberio Graziani, presidente dell’Istituto di alti studi in geopolitica e scienze ausiliarie, ha rilasciato a La Voce della Russia.
Alla prossima! E’ stata con voi Anna Gromova.

Guerra d’informazione e controllo del discorso internazionale. Daniele Scalea all’IRIB

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Daniele Scalea, segretario scientifico dell’IsAG e condirettore di “Geopolitica”, è stato intervistato da “Radio Italia” dell’IRIB a proposito della guerra dell’informazione. La fonte originale è raggiungibile cliccando qui. Di seguito l’audio e la trascrizione.

 

Ultimamente si sente molto parlare di “guerra di informazione”. Ci potrebbe spiegare che cosa significa?

Prendiamola alla lontana. Le guerre sono fatte da persone: coinvolgono Stati, nazioni e popolazioni. Chi vuole una guerra ha l’esigenza di giustificarla agli occhi sia dei decisori – ossia di chi concretamente decide di farla – sia delle popolazioni – ossia di chi la combatte. Ancora oggi che, soprattutto in Occidente, si è andati verso una professionalizzazione delle forze militari e le guerre sono combattute lontano dai confini nazionali, pur non essendovi più una sofferenza diretta in termini di perdita ingente di vite umane, c’è comunque la questione legata ai costi. Le guerre costano, e sono scaricate sulla pressione fiscale. Tra l’altro, in epoca moderna si è aggiunto un altro fattore: il diffuso pacifismo. E’ aumentata la resistenza ideologica alle guerre, che rende più difficile giustificarle.
La necessità di giustificare una guerra si lega al tema della propaganda e delle rappresentazioni. Fin dai tempi più antichi il nemico si è dipinto come colui che è in torto: v’era già in nuce la propaganda moderna, con la differenza che gli autori di quest’ultima sono Stati più ampi o quanto meno meglio organizzati, più capaci di diffondere capillarmente certi messaggi, e con a disposizione le tecnologie dei media di massa. L’invenzione della radio e poi della televisione ha permesso un evidente salto di qualità alla propaganda.
Qui nasce la “guerra d’informazione”. Infatti, tramite i messaggi che vengono dati non solo si riesce a motivare la propria popolazione; non solo gruppi di pressione pubblici o privati possono spingere i decisori a deliberare per la guerra; ma si può anche legittimare la propria azione verso l’esterno, presso gli altri popoli e Stati, e minare la coesione e il morale del nemico. In quest’ottica sono importanti non tanto i mezzi di comunicazione di cui dispone uno Stato o un gruppo di pressione all’interno della nazione, quanto il controllo dei media a livello internazionale.
Questo è uno dei punti di forza degli USA. Chi controlla l’informazione negli USA ha anche una fortissima influenza all’esterno, se non tramite controllo diretto di media stranieri, avvalendosi dell’influenza che quelli interni hanno sul resto del mondo. Ciò che viene detto dalla CNN, o da agenzie di stampa anglosassoni (vedi la Reuters), ha una risonanza globale: arriva in pressoché tutti i paesi ed è generalmente preso come verità assoluta. Questo significa poter controllare il discorso: decidere quali notizie possono circolare e quali no, ed eventualmente anche manipolarle.
Questo è l’aspetto più generale della guerra d’informazione.

Qual è secondo lei il motivo della crescente dipendenza dell’Occidente dalla tecnologia dell’informazione?

Una dipendenza crescente che mira però a fare perno su quello che è un punto di forza oggettivo dell’Occidente – qui inteso principalmente come il mondo anglosassone, da cui diparte il potere mediatico cui sono soggetti anche i media europei continentali. Questo potere mediatico è un grosso vantaggio, perché permette di definire il discorso a livello mondiale. Prendiamo il caso attuale della Siria. Abbiamo in merito due narrative contrapposte. Quella diffusa globalmente dai media anglosassoni parla di una rivolta pacifica della popolazione contro un tiranno che massacra in maniera indiscriminata; la narrativa siriana denuncia invece la penetrazione di bande armate dall’esterno che compiono atti terroristici per destabilizzare istituzioni che godono dell’appoggio della maggioranza della popolazione. Evidentemente queste due narrative non sono bilanciate: senza entrare nel merito di quale sia corretta, o se la verità stia nel mezzo, è un dato di fatto che la prima (tramite agenzie di stampa e reti televisive diffuse in tutto il mondo) si è affermata globalmente come discorso dominante, mentre la narrativa siriana rimane limitata a pochissimi paesi. Nella maggior parte del mondo non esistono canali informativi che possano anche solo provare a concorrere, foss’anche da posizione di debolezza, con la narrativa dominante di matrice anglosassone.

Secondo lei quali sono le differenze tra la guerra combattuta con armi tradizionali e la guerra d’informazione?

Una tendenza consolidata nel pensiero militare è l’allargamento dell’ambito bellico, con vari aspetti inter-dipendenti tra loro. Si discute molto anche degli strumenti bellici non militari, di cui fanno parte la speculazione finanziaria o i mezzi d’informazione. La guerra è diventata veramente totale, in quanto coinvolge tutti gli strumenti possibili, non più solo quelli militari. Ciò impedisce di fare precise e nette distinzioni. La guerra dell’informazione deve giustificare il ricorso alle armi e indebolire il morale del nemico: è solo un momento di un unico sforzo bellico che include anche la guerra tradizionale. Ad esempio, nel momento in cui si conduce una guerra d’informazione contro l’Iran, è certa la presenza all’interno del paese di sabotatori, dunque di una guerra armata, benché sotterranea; v’è poi la guerra diplomatica, la guerra economica delle sanzioni, la guerra finanziaria del blocco del SWIFT. Varie guerre, ma strettamente collegate tra loro ed indivisibili.

Le relazioni Italia-Brasile: la conferenza presso l’Ambasciata brasiliana

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Italia e Brasile sono separati da un oceano, ma uniti dalla cultura e dalla storia. Entrambi i paesi sono di civiltà latina, ed il legame è stato ulteriormente rinsaldato dall’ingente emigrazione d’italiani in Brasile. Si calcola che oltre il 15% della popolazione brasiliana sia d’origine italiana. Con 30 milioni di “oriundi”, il Brasile ospita la più numerosa comunità italiana all’estero. Numerosa è anche la presenza d’imprese italiane nel paese sudamericano: l’Italia è uno dei maggiori partner commerciali europei del Brasile, nonché un’importante fonte d’investimenti. Nel mondo globalizzato, l’interazione politica tra Roma e Brasilia non è sminuita dalla distanza geografica.

Per fare il punto sulle relazioni tra i due paesi e pensare alle modalità per migliorarle ulteriormente nel futuro prossimo, hanno organizzato questo evento IsAG (Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie) e Associazione di Amicizia Italia-Brasile, con il patrocinio istituzionale dell’Ambasciata del Brasile in Italia e il contributo di IBS Italia e Think New Ltd.

La conferenza si è svolta martedì 12 giugno 2012 alle ore 17.30 a Roma, presso la Sala Palestrina di Palazzo Pamphilj, sede dell’Ambasciata della Repubblica Federativa di Brasile, in Piazza Navona 14.

Il programma integrale in versione PDF è consultabile cliccando qui.

 

PROGRAMMA

Ore 17.10 – Registrazione dei partecipanti

Ore 17.30 – Apertura dei lavori. Intervento di:
amb. José Viegas Filho (Ambasciatore della Repubblica Federativa di Brasile in Italia)

Ore 17.40 – Proiezione in anteprima di un estratto del documentario “Il Brasile che parla italiano” del avv.
Antonio Ciano; sarà presente l’Autore

Ore 18.10 – Interventi introduttivi di:
on. Fabio Porta (presidente dell’Associazione di Amicizia Italia-Brasile, deputato per la Circoscrizione
America Meridionale)
dott. Tiberio Graziani (presidente dell’IsAG, direttore della rivista Geopolitica)

Ore 18.30 – Pausa

Ore 18.40 – Interventi di (in ordine alfabetico):
dott.ssa Simona Bottoni (direttrice Programma “America Latina” dell’IsAG)
dott. Antonio Calabrò (direttore della Fondazione Pirelli)
dott. Donato Di Santo (coordinatore del Comitato Consultivo della Conferenza Italia-America Latina)
gen. Francesco Lombardi (vice-direttore del Centro Militare di Studi Strategici del Ministero della Difesa)

Ore 19.20 – Conclusioni a cura di:
cons. Luca Trifone (capo Ufficio America Meridionale, Direzione Generale per la Mondializzazione e le
Questioni Globali del Ministero degli Affari Esteri)

Modera:
dott. Enrico Verga (direttore Relazioni istituzionali dell’IsAG)

 
Da sinistra a destra: José Viegas Filho, Tiberio Graziani, Enrico Verga

La Sala Palestrina è stata gremita in ogni ordine di posti da un pubblico composto di diplomatici, imprenditori, studiosi e comuni cittadini. In apertura ha fatto gli onori di casa S.E. l’Ambasciatore del Brasile José Viegas Filho, il quale ha espresso apprezzamento per il buono stato dei rapporti tra i due paesi ed ha invitato gl’italiani a fare impresa in Brasile. Sono quindi seguiti i saluti introduttivi di Tiberio Graziani (presidente dell’IsAG e direttore di Geopolitica), il quale ha accennato al riposizionamento geostrategico del Brasile nel corso dell’ultimo decennio, e dell’onorevole Fabio Porta, che ha fatto riferimento alla nutrita comunità d’oriundi italiani in Brasile ed ai numerosi eventi (culturali, musicali, gastronomici) che, nell’ambito della manifestazione “Momento Italia-Brasile” (che si conclude questo mese), hanno avuto luogo in 16 diversi Stati brasiliani sotto l’egida del Ministero degli Affari Esteri italiano.

Da sx: Francesco Lombardi, Luca Trifone, Antonio Calabrò, Donato di Santo, Simona Bottoni e Enrico Verga

E’ quindi seguita la proiezione in anteprima d’alcuni estratti del documentario Il Brasile che parla italiano dell’avv. Antonio Ciano. Il panel successivo, moderato da Enrico Verga (direttore Relazioni istituzionali di IsAG), ha visto gl’interventi di Simona Bottoni (direttrice del Programma “America Latina” dell’IsAG), Antonio Calabrò (direttore della Fondazione Pirelli), Donato Di Santo (coordinatore del Comitato Consultivo della Conferenza Italia-America Latina) e del generale Francesco Lombardi (vice-direttore del Centro Militare di Studi Strategici del Ministero della Difesa). Le conclusioni sono state affidate a Luca Trifone, capo dell’Ufficio America Meridionale del Ministero degli Affari Esteri.

Il pubblico in sala

L’album fotografico dell’evento è disponibile nello spazio Facebook dell’IsAG: [[clicca]]
[[Clicca qui]] per il testo della relazione di Simona Bottoni.

«In Siria va privilegiata la soluzione politica, non le minacce militari»: Tiberio Graziani all’IRNA

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Tiberio Graziani, presidente dell’IsAG e direttore di Geopolitica, è stato intervistato da IRNA, l’agenzia di stampa iraniana, a proposito dei rapporti tra Italia e Siria.

Interrogato in merito dal giornalista iraniano, il presidente Graziani ha collegato le affermazioni del ministro degli Esteri Giulio Terzi sull’ineluttabilità d’un cambiamento di regime a Damasco ad una scarsa fiducia nei tentativi di mediazione tra il Governo e l’opposizione siriani. L’Italia si mostra inoltre poco sensibile tanto ai principi di sovranità e non ingerenza sanciti dal diritto internazionale, quanto alle remore di Cina e Russia sulla crisi siriana. Un eventuale intervento militare in Siria porterebbe, come già i precedenti analoghi in Iraq e Libia, a lutti, distruzioni d’infrastrutture e guerre civili. Una situazione che non gioverebbe né alle popolazioni locali né ai vicini mediterranei, tra cui l’Italia.

L’originale in farsi può essere letto cliccando qui.

Beppe Grillo e l’Iran: Daniele Scalea all’IRIB

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Daniele Scalea, segretario scientifico dell’IsAG e condirettore di “Geopolitica”, è stato intervistato da Radio Italia dell’IRIB a proposito delle polemiche recentemente scatenate dall’intervista di Beppe Grillo a un quotidiano israeliano. Di seguito l’audio e la trascrizione dell’intervista. La fonte originale può essere raggiunta cliccando qui.
 
Le polemiche scatenate dall’intervista rilasciata a un giornale israeliano dal signor Beppe Grillo appaiono alquanto sorprendenti: esprimere un diverso pensiero su USA e Israele è qualcosa di così strano in Italia?

Questa polemica ha in fondo due dimensioni. La prima è quella politica spicciola. Le cose che Grillo avrebbe dichiarato al quotidiano israeliano sono già state affermate da lui in passato, nei suoi spettacoli (in particolare il discorso sul MEMRI, la società israeliana che egemonizza le traduzioni di notizie dall’arabo per il pubblico occidentale). Il fatto che solo oggi abbiano creato tante polemiche va dunque messo in relazione con la forza elettorale che il suo movimento sta acquisendo. Una polemica creata ad uso e consumo della politica interna, dei giochi di potere tra i partiti italiani.
Entrando nel merito dei contenuti scopriamo la seconda dimensione della questione. Qui in Italia l’informazione, più che in altri paesi occidentali, ama le versioni semplificate, quasi sempre provienienti da Oltreoceano. Ciò dipende da un lato dalla fortissima influenza politico-culturale-informativa degli USA sull’Italia, dall’altro a specifiche carenze dell’informazione, della cultura e dell’accademia italiane, che tende sempre più a proporre modelli semplici per un pubblico che sta perdendo senso critico. Quella varietà di posizioni e di visioni che si poteva ravvisare nell’opinione pubblica italiana fino a qualche decennio fa si sta perdendo. Su moltissimi argomenti – dalla questione palestinese alla politica estera italiana alle strategie degli USA nel Vicino Oriente – si tende a ridurre tutto a un discorso dominante. Anche sull’Iran diventa sempre più difficile trovare delle posizioni equilibrate, che cerchino di porre le questioni in maniera più problematica rispetto al denunciare la “malvagità” intrinseca delle istituzioni persiane. In fondo Grillo non ha fatto un peana per l’Iran: ha semplicemente posto in maniera problematica la condizione femminile (da raffrontarsi non agli standard occidentali, ma a quelli degli altri paesi musulmani) o le dichiarazioni più controverse di Ahmadinejad. Perché questa problematizzazione è vista come inaccettabile e filo-iraniana? Si tratta di una conseguenza della suddetta semplificazione del discorso: quello, diciamo così, “anti-iraniano” è divenuto il discorso dominante, e ciò che vi si discosta è percepito come discorso “estremista” anche se di fatto è più equilibrato.

Sembra che criticare Israele sia quasi impossibile in Occidente. Ma il signor Grillo ha anche parlato di “occupazione statunitense dell’Italia”. Quali reazioni ha suscitato questa frase?

Questa frase ha provocato meno sdegno perché non carica della medesima pressione “morale” presente in tutto ciò che riguarda Israele; e l’Iran in questo momento, nel discorso dominante, è solo qualcosa che riguarda Israele e la sua sicurezza. In Occidente quando si parla d’Israele si parla del popolo ebraico, e quando si parla del popolo ebraico si parla della Shoah. Si è così creata una connessione automatica tra Israele e la Shoah. O meglio: è stata creata, e secondo me anche in maniera un po’ artificiale, tramite uno sforzo di soft power condotto da Israele soprattutto negli ultimi decenni, e che si è rivelato molto efficace. Pone infatti una grossa pregiudiziale – potremmo quasi dire un “ricatto morale” – quando si parla di Israele: diventa per molti naturale assumere un atteggiamento “giustificazionista” dell’operato di Tel Aviv e, di converso, esagerare qualsiasi critica o ostilità a Israele come una minaccia vitale alla sua sicurezza, un tentativo di ripetere lo sterminio.
Per gli USA non è presente questa dimensione “morale”. Ciò non toglie però che Washington abbia una fortissima influenza sull’Italia. Un discorso come quello di Grillo incontra molti ostacoli, soprattutto se qualcuno volesse cercare di tradurlo in realtà. Mi spiego: i discorsi di critica verso Israele creano ostilità in se stessi, mentre quelli verso gli USA vedono insorgere i problemi soprattutto quando si passa alla pratica. Un tentativo, magari da parte d’un Movimento V Stelle che acquisisse grosso peso nella politica italiana, di ridurre l’influenza degli USA scatenerebbe una reazione molto forte, che potrebbe assumere varie forme: una campagna stampa internazionale, attacchi speculativi sui mercati, pressioni diplomatiche ecc. Per certi versi queste cose si sono già sperimentate in passato. Le istituzioni italiane sono già state attaccate in passato quando si è provato a ridurre l’influenza degli USA o, in misura minore, della Gran Bretagna (si veda a tal proposito Il golpe inglese di Fasanella e Cereghino, che utilizza documenti d’archivio britannici).

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